venerdì 6 settembre 2013

BLOOD SWEAT & TEARS








                                                  Lucretia McEvil - Blood Sweat & Tears





Blood Sweat & Tears - And when I die ( Live 1971 )









Blood Sweat & Tears - Go Down Gamblin'





Blood Sweat & Tears - Hi De Ho 





Blood Sweat & Tears - Spinning Wheel 







giovedì 5 settembre 2013

ACCADE QUI...E ADESSO.



“Gentile signora Kyenge,

mi scuso, ma non riesco a chiamarla Ministro, non per razzismo come molti possano essere indotti a pensare, ma per criterio.

Non posso chiamare Ministro chi si dichiara a metà tra il mio paese ed un altro, mentre ha giurato fedeltà alla mia Costituzione.
Non accetto che lei parli a nome mio e dei miei concittadini definendoci “meticci”. Io sono da generazioni italiana, nel mio albero genealogico ci sono persone che hanno dato la vita per questo paese, ho una cultura, la mia, quella del mio popolo, che amo e che non voglio cambiare con nessun altra.

Sono stanca di sentirmi straniera a casa mia; di dovermi giustificare per le mie tradizioni; di dover continuamente sopportare, tollerare che l’ultimo arrivato, che nemmeno possiede una goccia del mio sangue, mi venga ad impartire ordini.

Io e il mio paese siamo tutt’uno. Lei ben sapendo di non appartenere completamente a questo paese ha espresso un giuramento sulla mia Carta , offendendola, perché lei stessa ha dichiarato di non sentirsi completamente italiana.

Non avrebbe dovuto farlo gentile signora Kyenge, solo per rispetto verso la mia gente che ha sempre accolto tutti con amore e solidarietà. Oggi lei forte dei poteri che le sono stati dati, e non dal popolo italiano, tuona possentemente che serve una nuova legge in materia di immigrazione; imperativamente lei afferma che serve il riconoscimento dello ius soli… ma forse le è sconosciuta quella parte del diritto millenario, conquistato con il sacrificio di molte vite umane, per cui non è sufficiente risiedere in un paese per averne di diritto cittadinanza.

Lei pretende diritti, senza offrire solidarietà, senza obblighi, anzi lei pretende che quel principio giuridico che dice “ove vi è un diritto vi è sempre un obbligo” di colpo venga smembrato dotando una parte di soli diritti ed un’altra di soli obblighi.

Io non ci sto signora Kyenge. Lei non mi rappresenta e non mi rappresenterà mai. Io non l’ho votata signora Kyenge; io amo la mia cultura, le mie tradizioni e non mi interessa che vengano integrate da altre, posso accettare di conoscerle, apprezzarle e rispettarle, ma pretendo la stessa contropartita.

Non si rispetta un popolo imponendogli un’invasione indiscriminata; non si può chiamare etica una sbilanciamento a favore di una singola parte.

Ci pensi signora Kyenge, le sue dichiarazioni hanno gettato un’ombra sulla storia di questo paese, lei non potrà essere di aiuto per gli italiani, tanto meno per gli immigrati”.

Lorella Presotto





“Cara signora Kyenge, dal momento del suo giuramento come ministro della repubblica italiana lei ha dimostrato che non le piacciamo. Legittimo, per carità, ma per coerenza uno non dovrebbe accettare di governare un popolo che non ama. Perché, vede, da noi, in Italia, esistono delle regole di buona educazione. Magari superate, ma che a noi piacciono ancora. E una di queste regole prevede che, se si va a casa degli altri, si chieda permesso, si entri e ci si adegui alle regole della casa. Certo, saranno atteggiamenti che Lei non condivide. Per questo Lei è arrivata e ha cominciato a dettare regole nuove a chi la ospita. Non mi piace cosa mangiate, come parlate, cosa dite, i vostri quadri appesi alle pareti, i colori dei muri, gli infissi. Non Le piace nulla. E, dunque, tra andarsene in un Paese che le piace di più e cambiare il nostro, Lei ha scelto la seconda opzione.
Vede, caro ministro, noi avremo tanti difetti, anzi tantissimi. Ma siamo legati alla nostra civiltà, plurimillenaria. Ha presente quei sassi, quei muri rotti che costellano i nostri paesaggi? Noi li chiamiamo reperti archeologici. E ci siamo affezionati. Come siamo affezionati alla nostra lingua, alla nostra cultura. E non siamo contenti quando una persona che ospitiamo arriva e ci dice che noi dobbiamo cambiare. Perché siamo noi che dobbiamo adattarci a chi arriva e non viceversa. Curiosa idea. Rispettabile ma curiosa.
Così come il suo intervento per chiarire che lei non è una persona di colore. Brava. Abbiamo pensato che, finalmente, fosse arrivato un ministro che se ne fregava dei luoghi comuni del politicamente corretto. Macché. Solo una breve illusione. Perché subito dopo ha aggiunto che Lei non è di colore, ma nera. Ecco, vede caro ministro, ci rendiamo conto che la vicinanza con i politici italiani – quelli che considerano il congiuntivo come un nemico da abbattere e chiedono “te cosa fai domani?” – non agevoli la padronanza della lingua italiana. Ma il nero, al di là dell’onanismo intellettuale se deve essere considerato un colore o un non-colore, nell’accezione comune è un colore. E allora cosa vuol dire che Lei è nera ma non di colore? Nera è una camicia, un’auto. Ma Lei è una persona, non un oggetto. E, in italiano, lei è negra. E non c’è nessuna offesa, nessuna accezione negativa nel termine. Certo, è offensivo negli Stati Uniti d’America. Ma a noi che ci frega? Non siamo in America. Forse Lei è stata tratta in inganno dalla sua collega Bonino, convinta che la nostra capitale sia Washington e che, quindi, dobbiamo adeguarci alla lingua d’Oltreoceano e alle decisioni delle loro Corti. Ma non è così. Se Lei avesse avuto voglia di informarsi sulla nostra cultura, avrebbe scoperto che una delle più belle canzoni antirazziste, interpretata da Fausto Leali, si intitola “Angeli negri”. Non neri, ma negri. “Anche se la Vergine è bianca, disegna un angioletto negro”..
Perché vede, signora, gli italiani sono tutt’altro che razzisti. Troppo abituati ad essere invasi da spagnoli, francesi, austriaci e ad essere guidati da inglesi e americani per potersi permettere la xenofobia. Ma il razzismo cresce, adesso, per i comportamenti dei paladini del politicamente corretto. Cresce quando le case popolari vengono negate agli italiani poveri, figli e nipoti di chi ha pagato le tasse permettendo la costruzione di quelle stesse case, per assegnarle a stranieri appena arrivati e che nulla han fatto per questo Paese. Cresce quando si tagliano i fondi per il trasporto pubblico a Torino e si regalano 5 milioni agli zingari (che non hanno fatto assolutamente nulla per averne diritto). Cresce quando nelle scuole i bambini italiani devono rinunciare alla festa di Natale per non infastidire i bambini di altre religioni o quando devono rinunciare al prosciutto in mensa perché altri non vogliono mangiarlo. Ecco, caro ministro, prima di lanciarsi in iniziative che andranno in senso contrario ad ogni integrazione ed interazione, provi a pensare a tutto questo. E se proprio non Le piace come siamo fatti, può sempre scegliersi popoli migliori del nostro.”

Maximo Mancin Mantovani



Per chi non lo sapesse lo “ius soli” fa riferimento alla nascita sul “suolo”, sul territorio dello Stato. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori.
Ricordiamo anche che l’associazione di cui fa parte la 48enne di origini congolesi Sig.ra Kyenge chiede anche:

L ‘abrogazione della Bossi-Fini e, in particolare, del nesso tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno;

Rivendica l’applicazione e l’estensione dell’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione come tutela per tutti i lavoratori che denunceranno di essere stati costretti all’irregolarita’ del lavoro;

L’abrogazione del reato di clandestinita’ e del pacchetto sicurezza;

L’abolizione del permesso di soggiorno a punti;

La chiusura dei CIE;
Una legge organica e adeguata per la tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

L’auspicio è che qualcuno in questo governo o nel Parlamento faccia capire a Cecile Kyenge che nessuno vuole risvegliarsi una mattina sentendosi straniero in casa propria.

ACCADE QUI...E ADESSO






"Nessuno tiri le banane alla Kyenge, ma la Kyenge non tiri le banane agli italiani. Con tutto il rispetto per il ministro diventato ormai intoccabile, il suo piano anti razzismo, sviluppato da 85 associazioni secondo un «approccio integrato e multidisciplinare» e avvalendosi dell’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali), rischia di trasformarsi in uno sfottò per chi da anni lavora in questo disgraziato Paese, pagando le tasse (troppe) e difendendo la sua terra. Sapete come la pensiamo: paragonare il ministro ad un orango è una roba scellerata, da condannare e biasimare. Ma il biasimo dà forse il diritto di trattare da orango un commerciante di Usmate Velate? O un artigiano di Carrù?
...
Noi non tiriamo le banane, a malapena le mangiamo, ci vanno pure di traverso. Però non amiamo nemmeno prenderle sulla testa, soprattutto non teniamo mai la loro buccia sui nostri occhi. E così ci sembra abbastanza evidente che il piano anti razzismo, con buona pace delle 85 associazioni e dell’Unar che dovranno svilupparlo, è fin d’ora un concentrato di banalità e proposte discutibili, come quelle che riguardano le graduatorie per le case pubbliche, dove gli italiani, in nome dell’anti-razzismo, rischieranno di vedersi scavalcati dagli immigrati; o come quelle sulle scuole d’italiano pagate dallo Stato (un modo per risolvere il problema dell’esubero dei docenti?); o ancora come quelle sulla lotta alla xenofobia-web che ha subito sollevato dubbi sulla possibilità di mettere il bavaglio a Internet. E non si escludono altre chicche dal prosieguo dei lavori delle 85 associazioni e dell’Unar.

Ma ciò che più preoccupa, fra un richiamo al workshop e una carezza alle comunità sinti e «camminanti» (nuovo eufemismo per nomadi?), non è tanto quel che il piano anti razzismo dice, quanto quel che il piano tace. E cioè il disegno che ci sta dietro: un progetto di invasione più o meno pacifica dell’Italia, attraverso l’introduzione dello ius soli e l’apertura indiscriminata delle frontiere, il «ringiovanimento» della popolazione italiana attraverso l’innesto di dosi abbondanti di stranieri. E così, sim sala bin, il gioco è fatto: il governo che doveva risolvere i problemi urgenti dell’economia italiana vara invece un progetto culturale di vaste proporzioni che, lungi dal risolvere alcunché, prosciuga risorse nazionali in nome di un multiculturalismo diffuso, di un embrassons nous planetario, di un’accoglienza senza limiti né controlli. Gli esodati? Dimenticati. I pensionati? Bistrattati. I giovani disoccupati? Manco lo zuccherino. L’unico progetto che procede spedito come un treno è quello che apre le porte ai clandestini. Anzi, pardon: ai migranti. Che pure la parola «clandestino» ormai è diventata un tabù...."

M. Giordano

DACIA VALENT: " ITALIANI DI MERDA, ITALIANI BASTARDI."






Dacia Valent, donna di colore nata a Mogadiscio, è stata eletta deputata europea alle elezioni del 1989 per la lista del PCI. È stata membro della Commissione giuridica e per i diritti dei cittadini, dell'Assemblea paritetica della convenzione tra gli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico e laCEE (ACP-CEE), della Commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni.
È nota anche per le sue posizioni decisamente critiche rispetto alle politichestatunitense e israeliana nei confronti del popolo palestinese, che, secondo alcuni, sconfinerebbero nell'antisemitismo e NELL'APOLOGIA DEL TERRORISMO.
Cresciuta in una famiglia multiculturale, in età adulta ha optato per l'Islam come religione, ha fondato ed è tra i dirigenti della "Lega Anti Diffamazione Islamica" (IADL), che ogni anno assegna il "premio Mezzaluna d'Oro" a persone che si sono particolarmente distinte nella creazione di ponti di solidarietà tra culture e nella difesa dei diritti civili delle minoranze etniche e religiose.

Questa signora, nota per il suo essere una filopalestinese oltre ogni decenza, ha onorato noi, italiani tutti, di una invettiva notevole, pregnante, ricca di contenuti originali ed intelligenti e sagaci, degna di lei e che la qualifica in pieno, sul suo blog “verbavalent”.
Questa "signora" già deputata del Pci e di Rifondazione Comunista, che continua a mangiare sulle spalle degli italiani che disprezza, scrive :

"Italiani di merda, Italiani bastardi,
Voi non riuscite nemmeno a immaginare quanto sia difficile per me scrivere, tentando di non ferire le vostre povere sensibilità di piccoli bianchi, totalmente ignoranti del loro passato di carnefici di neri, ebrei e musulmani.
Non conoscete nulla di quello che avete nel vostro DNA storico, vi riempite la bocca di ebrei solo per salvarvi la coscienza, raccontando di come gente tipo Perlasca – un fascista di merda che dovrebbe morire mille volte solo per essere stato fascista ed aver sostenuto fossanche per un solo minuto quel regime – ne ha salvato alcuni.
Siete un popolo senza futuro perché siete un popolo senza memoria.
Me ne fotto degli italiani brava gente. Anzi, mi correggo, me ne fotto degli italiani bianchi e cristiani, naturalmente brava gente.
Non lo siete.
Siete ignoranti, stupidi, pavidi, vigliacchi.
Siete il peggio che la razza bianca abbia mai prodotto.
Brutti come la fame, privi di capacità e di ingegno se non nel business della malavita organizzata e nella volontà delle vostre donne (studentesse, casalinghe, madri di famiglie) di prostituirsi e di prostituire le proprie figlie.
Anche quando dimostrate un barlume di intelligenza, questa si perde nei rivoli del guadagno facile e del tirare a fregare chi sta peggio di voi.
Nessuna delle vostre battaglie ha un senso per altri se prima non produce un tornaconto per voi stessi.
Dalla politica alla religione, dal sociale alla cultura, siete delle nullità.
Capaci di raccogliere firme e manifestare, salvo poi smentire con ogni vostro atto quotidiano quello che a grande voce dichiarate pubblicamente. Andate a marciare da soli, che marci siete e marci rimarrete e non vi voglio profumare.
Non avete una classe media, siete una penosa e noiosa classe mediocre, incivile e selvaggia. I giornali più venduti sono quelli che trattano di gossip e i programmi televisivi più gettonati – al fine di vendere le proprie figlie come bestiame, come le vacche che sono destinate inevitabilmente a diventare, vista la vostra genia – sono i reality.
Avete acclamato qualsiasi dittatore e sottoscritto qualsiasi strage, salvo poi dimenticarvene ed assurgere come vittime di un élite. Non avete un’élite, coglioni, fatevene una ragione: i vostri deputati e senatori sono delle merde tali e quali a voi, i vostri capitani d’azienda sono dei progetti andati a male dei centri di collocamento, ma che o avevano buoni rapporti famigliari o il culo l’hanno dato meglio di voi.
Non solo quelli al governo (o che fanno capo all’area governativa), anche e soprattutto quelli che fanno capo all’opposizione.
Da quelli oggi al governo non ci aspettiamo nulla se non quello che da anni ci danno: razzismo, esclusione, spedizioni punitive, insulti ed umiliazioni.
Ma da quelli all’opposizione, quelli che si sono arricchiti con anni di Arci, Opere Nomadi, Sindacati Confederali, e sempre sulla nostra pelle, facendoci perdere diritti che ormai davamo per acquisiti, ci aspettiamo che si facciano da parte.
Sono ormai troppi anni che deleghiamo le nostre lotte a persone che in teoria dovrebbero averle fatte proprie, dimenticandoci l’infima qualità dell’italiano pseudobianco e pseudocristiano: non vale un cazzo perché non ha valori che valgano.
Un popolo di mafiosi, camorristi, ignoranti bastardi senza un futuro perché non lo meritano: che possano i loro figli morire nelle culle o non essere mai partoriti.
Questo mondo non ha bisogno di schiavi dentro come lo siete voi, feccia umana, non ha bisogno di persone che si inginocchiano a dei che sia chiamano potere e denaro e nemmeno di chi della solidarietà ha fatto business.
Ha bisogno di altro, che voi non avete e quindi siete inutili.
Dite che non è così?
Ditelo ai Rom perseguitati in tutta Italia, ditelo ad Abdoul, ditelo ai 6 di Castelvoturno, ditelo a Emmanuel, ditelo ai gay massacrati da solerti cristiani eterosessuali.
Ditelo a mio fratello, bastardi.
Ditelo alle decine di persone vere, non zecche e pulci come voi, che non denunciano perché sanno che se vanno dalla vostra polizia bastarda e assassina li umilieranno e magari li picchieranno di più e forse li uccideranno come l’Aldro [ammazzato come un cane perché pensavano fosse un extracomunitario], e se sono donne le violenteranno, e non avranno nessuno a cui rivolgersi per essere difesi.
Ditelo a quelli che rinchiudete per mesi nei vostri campi di concentramento senza alcun genere di condanna, solo per gonfiare le casse di qualche associazione che finanzierà un qualche partito, generalmente di sinistra, ditelo a quelli che lavorano per i vostri partiti e sindacati da lustri senza avere un contratto ma in nero, ditelo a quelli che si sono fidati di voi per anni, ditelo a quelli che raccolgono l’ultimo respiro di quei maiali dei vostri vecchi, e a quelli che si sfilano dalle fighe delle nostre ragazze per infilarsi in quelle larghe e flaccide delle vostre donnacce, ditelo ai nostri ragazzi che vincono medaglie e che saranno il futuro di questo paese, ditecelo, figli di puttana.
Ditelo col cappello in mano, e gli occhi bassi, cani bastardi. 
Ma sappiate che la risposta ve l’hanno già data a Castevolturno: Italiani bastardi, Italiani di merda. 
Io ci aggiungo bianchi, perché il discrimine è questo. 
Valete poco perché avete poco da dire e nulla da dare."

(Dacia Valent) 





Pur essendo da sempre contro ogni forma di razzismo leggendo le parole di questa "signora" sono inorridita perché una persona che dall'Italia ha avuto tutto ora si permette di sputare nel piatto in cui ha mangiato e pure bene, grazie ad uno stipendio da europarlamentare che le consentirebbe di sfamare alcune generazioni se, come molti sperano, tornasse nella sua Somalia.
La "signora" nel suo blog avrebbe dovuto scrivere di essere stata rinviata a giudizio per concorso in rapina per essersi appropriata del portafogli e del telefono cellulare di una cittadina d’origine polacca che si era recata negli uffici di un’associazione (dove la Valent lavorava) per denunciare discriminazioni ai danni di alcuni immigrati. Di essere stata arrestata nell’aprile del 1995, a Riano Flaminio, vicino Roma, per tentato omicidio nei confronti del convivente belga. Nel 1992 fonda e diventa presidente di una associazione anti-razzista, la SCORE italy (sezione italiana della Conferenza Permanente per l'uguaglianza razziale in Europa), in seguito nel 2002 questa associazione viene condannata dalla Corte dei Conti per la scorretta gestione dei finanziamenti
regionali ottenuti per la realizzazione di centri di prima accoglienza di immigrati (sentenza n.603 del 25/2/2002).

Nel 1995 accusa alcuni sindacalisti della CGIL di aver richiesto prestazioni sessuali ad alcune somale in cambio di favori (come l'assegnazione di alloggi o viveri), l'accusa si rivelerà in seguito infondata.

Amareggiata perché le condanne di razzismo arrivano sempre a senso unico, solo quando le vittime sono gli altri. In questo caso arriva una vera e propria istigazione all'odio razziale con parole oscenamente forti... 
Se lo fanno gli Italiani, arriva subito un magistrato che avvia un processo penale perché razzisti....

FINO A MACONDO






Gabriel Garcìa Màrquez

          Cent’anni di solitudine


                                                               Feltrinelli

Titolo originale dell’opera
Cien años de soledad
© 1967 Editorial Sudamericana, Buenos Aires
Traduzione dallo spagnolo di Enrico Cicogna


                                                              A Jomì Garcìa Ascot
                                                                      E Marìa Luisa Elìo


"Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe
ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.
Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di
un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi
come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni, verso il mese di marzo, una famiglia di zingari
cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva
conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba
arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli
oggetti perduti da molto tempo ricomparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades. "Le cose hanno vita propria," proclamava lo zingaro con aspro accento, "si tratta soltanto di risvegliargli l'anima." José
Arcadio Buendìa, la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell'ingegno della
natura, e ancora più in là del miracolo e della magia, pensò che era possibile servirsi di quella invenzione inutile per sviscerare l'oro della terra. Melquìades, che era un uomo onesto, lo prevenne: "Per quello non serve." Ma a quel tempo José Arcadio Buendìa non credeva nell'onestà degli
zingari, e così barattò il suo mulo e una partita di capri coi due lingotti calamitati.

(…)

Aureliano non era mai stato così lucido in nessun atto della sua vita come quando dimenticò i
suoi morti e il dolore dei suoi morti, e tornò a sbarrare le porte e le finestre con le crociere di
Fernanda per non lasciarsi turbare da alcuna tentazione del mondo, perché allora sapeva che nelle
pergamene di Melquíades era scritto il suo destino. Le trovò intatte, tra le piante preistoriche e le
pozze fumanti e gli insetti luminosi che avevano bandito dalla stanza ogni vestigio del passaggio
degli uomini sulla terra, e non ebbe la serenità di portarle alla luce, ma in quel luogo stesso, in
piedi, senza la minima difficoltà, come se fossero state scritte in spagnolo sotto lo splendore accecante del mezzogiorno, come a decifrarle a voce alta. Era la storia della famiglia, scritta da
Melquiades perfino nei suoi particolari più triviali, con cent'anni di anticipo. L'aveva redatta in
sanscrito, che era la sua lingua materna, e aveva cifrato i versi pari con la chiave privata dell'imperatore Augusto, e quelli dispari con chiavi militari lacedemoni. La protezione finale, che Aureliano cominciava a intravedere quando si era lasciato confondere dall'amore di Amaranta Ursula,
si basava sul fatto che Melquíades non aveva ordinato i fatti nel tempo convenzionale degli uomini, ma che aveva concentrato un secolo di episodi quotidiani, di modo che tutti coesistessero in
un istante. Affascinato dalla scoperta, Aureliano lesse ad alta voce, senza salti, le encicliche cantate che lo stesso Melquíades aveva fatto ascoltare ad Arcadio, e che erano in realtà le predizioni
della sua esecuzione, e trovò annunziata la nascita della donna più bella del mondo che stava salendo al cielo in corpo e anima, e conobbe l'origine di due gemelli postumi che rinunciavano a
decifrare le pergamene, non soltanto per incapacità e incostanza, ma perché i loro tentativi erano
prematuri. A questo punto, impaziente di conoscere la propria origine, Aureliano passò oltre.
Allora cominciò il vento, tiepido, incipiente, pieno di voci del passato, di mormorii di gerani antichi, di sospiri di delusioni anteriori alle nostalgie più tenaci. Non se ne accorse perché in quel
momento stava scoprendo i primi indizi del suo essere, in un nonno concupiscente che si lasciava
trascinare dalla frivolità attraverso un altipiano allucinato, in cerca di una donna bella che non lo
avrebbe fatto felice. Aureliano lo riconobbe, incalzò i sentieri occulti della sua discendenza, e
trovò l'istante del suo stesso concepimento tra gli scorpioni e le farfalle gialle di un bagno crepuscolare, dove un avventizio saziava la sua lussuria con una donna che gli si dava per ribellione.
Era cosí assorto, che non sentì nemmeno il secondo assalto del vento, la cui potenza ciclonica
strappò dai cardini le porte e le finestre, svelse il tetto dell'ala orientale e sradicò le fondamenta.
Soltanto allora scopr ì che Amaranta Ursula non era sua sorella, ma sua zia, e che Francis Drake
aveva assaltato Riohacha soltanto perché loro potessero cercarsi per i labirinti più intricati del
sangue, fino a generare l'animale mitologico che avrebbe posto termine alla stirpe. Macondo era
già un pauroso vortice di polvere e macerie, centrifugato dalla collera dell'uragano biblico, quando Aureliano saltò undici pagine per non perder tempo con fatti fin troppo noti, e cominciò a decifrare l'istante che stava vivendo, e lo decifrava a mano a mano che lo viveva, profetizzando sé
stesso nell'atto di decifrare l'ultima pagina delle pergamene, come se si stesse vedendo in uno
specchio parlante. Allora saltò oltre per precorrere le predizioni e appurare la data e le circostanze della sua morte. Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che "la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell'istante in cui
Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era
scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra."


                                 
                         Gabriel Garcìa Màrquez - Nobel 1982 (pt.1)                                 





Gabriel Garcìa Màrquez - Nobel 1982 (pt.2)








mercoledì 4 settembre 2013

NON ACCADE QUI...MA ADESSO.






TESTIMONIANZA DRAMMATICA, UNA DELLE TANTE...PURTROPPO: