giovedì 5 settembre 2013

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"Nessuno tiri le banane alla Kyenge, ma la Kyenge non tiri le banane agli italiani. Con tutto il rispetto per il ministro diventato ormai intoccabile, il suo piano anti razzismo, sviluppato da 85 associazioni secondo un «approccio integrato e multidisciplinare» e avvalendosi dell’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali), rischia di trasformarsi in uno sfottò per chi da anni lavora in questo disgraziato Paese, pagando le tasse (troppe) e difendendo la sua terra. Sapete come la pensiamo: paragonare il ministro ad un orango è una roba scellerata, da condannare e biasimare. Ma il biasimo dà forse il diritto di trattare da orango un commerciante di Usmate Velate? O un artigiano di Carrù?
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Noi non tiriamo le banane, a malapena le mangiamo, ci vanno pure di traverso. Però non amiamo nemmeno prenderle sulla testa, soprattutto non teniamo mai la loro buccia sui nostri occhi. E così ci sembra abbastanza evidente che il piano anti razzismo, con buona pace delle 85 associazioni e dell’Unar che dovranno svilupparlo, è fin d’ora un concentrato di banalità e proposte discutibili, come quelle che riguardano le graduatorie per le case pubbliche, dove gli italiani, in nome dell’anti-razzismo, rischieranno di vedersi scavalcati dagli immigrati; o come quelle sulle scuole d’italiano pagate dallo Stato (un modo per risolvere il problema dell’esubero dei docenti?); o ancora come quelle sulla lotta alla xenofobia-web che ha subito sollevato dubbi sulla possibilità di mettere il bavaglio a Internet. E non si escludono altre chicche dal prosieguo dei lavori delle 85 associazioni e dell’Unar.

Ma ciò che più preoccupa, fra un richiamo al workshop e una carezza alle comunità sinti e «camminanti» (nuovo eufemismo per nomadi?), non è tanto quel che il piano anti razzismo dice, quanto quel che il piano tace. E cioè il disegno che ci sta dietro: un progetto di invasione più o meno pacifica dell’Italia, attraverso l’introduzione dello ius soli e l’apertura indiscriminata delle frontiere, il «ringiovanimento» della popolazione italiana attraverso l’innesto di dosi abbondanti di stranieri. E così, sim sala bin, il gioco è fatto: il governo che doveva risolvere i problemi urgenti dell’economia italiana vara invece un progetto culturale di vaste proporzioni che, lungi dal risolvere alcunché, prosciuga risorse nazionali in nome di un multiculturalismo diffuso, di un embrassons nous planetario, di un’accoglienza senza limiti né controlli. Gli esodati? Dimenticati. I pensionati? Bistrattati. I giovani disoccupati? Manco lo zuccherino. L’unico progetto che procede spedito come un treno è quello che apre le porte ai clandestini. Anzi, pardon: ai migranti. Che pure la parola «clandestino» ormai è diventata un tabù...."

M. Giordano

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