giovedì 5 settembre 2013

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“Gentile signora Kyenge,

mi scuso, ma non riesco a chiamarla Ministro, non per razzismo come molti possano essere indotti a pensare, ma per criterio.

Non posso chiamare Ministro chi si dichiara a metà tra il mio paese ed un altro, mentre ha giurato fedeltà alla mia Costituzione.
Non accetto che lei parli a nome mio e dei miei concittadini definendoci “meticci”. Io sono da generazioni italiana, nel mio albero genealogico ci sono persone che hanno dato la vita per questo paese, ho una cultura, la mia, quella del mio popolo, che amo e che non voglio cambiare con nessun altra.

Sono stanca di sentirmi straniera a casa mia; di dovermi giustificare per le mie tradizioni; di dover continuamente sopportare, tollerare che l’ultimo arrivato, che nemmeno possiede una goccia del mio sangue, mi venga ad impartire ordini.

Io e il mio paese siamo tutt’uno. Lei ben sapendo di non appartenere completamente a questo paese ha espresso un giuramento sulla mia Carta , offendendola, perché lei stessa ha dichiarato di non sentirsi completamente italiana.

Non avrebbe dovuto farlo gentile signora Kyenge, solo per rispetto verso la mia gente che ha sempre accolto tutti con amore e solidarietà. Oggi lei forte dei poteri che le sono stati dati, e non dal popolo italiano, tuona possentemente che serve una nuova legge in materia di immigrazione; imperativamente lei afferma che serve il riconoscimento dello ius soli… ma forse le è sconosciuta quella parte del diritto millenario, conquistato con il sacrificio di molte vite umane, per cui non è sufficiente risiedere in un paese per averne di diritto cittadinanza.

Lei pretende diritti, senza offrire solidarietà, senza obblighi, anzi lei pretende che quel principio giuridico che dice “ove vi è un diritto vi è sempre un obbligo” di colpo venga smembrato dotando una parte di soli diritti ed un’altra di soli obblighi.

Io non ci sto signora Kyenge. Lei non mi rappresenta e non mi rappresenterà mai. Io non l’ho votata signora Kyenge; io amo la mia cultura, le mie tradizioni e non mi interessa che vengano integrate da altre, posso accettare di conoscerle, apprezzarle e rispettarle, ma pretendo la stessa contropartita.

Non si rispetta un popolo imponendogli un’invasione indiscriminata; non si può chiamare etica una sbilanciamento a favore di una singola parte.

Ci pensi signora Kyenge, le sue dichiarazioni hanno gettato un’ombra sulla storia di questo paese, lei non potrà essere di aiuto per gli italiani, tanto meno per gli immigrati”.

Lorella Presotto





“Cara signora Kyenge, dal momento del suo giuramento come ministro della repubblica italiana lei ha dimostrato che non le piacciamo. Legittimo, per carità, ma per coerenza uno non dovrebbe accettare di governare un popolo che non ama. Perché, vede, da noi, in Italia, esistono delle regole di buona educazione. Magari superate, ma che a noi piacciono ancora. E una di queste regole prevede che, se si va a casa degli altri, si chieda permesso, si entri e ci si adegui alle regole della casa. Certo, saranno atteggiamenti che Lei non condivide. Per questo Lei è arrivata e ha cominciato a dettare regole nuove a chi la ospita. Non mi piace cosa mangiate, come parlate, cosa dite, i vostri quadri appesi alle pareti, i colori dei muri, gli infissi. Non Le piace nulla. E, dunque, tra andarsene in un Paese che le piace di più e cambiare il nostro, Lei ha scelto la seconda opzione.
Vede, caro ministro, noi avremo tanti difetti, anzi tantissimi. Ma siamo legati alla nostra civiltà, plurimillenaria. Ha presente quei sassi, quei muri rotti che costellano i nostri paesaggi? Noi li chiamiamo reperti archeologici. E ci siamo affezionati. Come siamo affezionati alla nostra lingua, alla nostra cultura. E non siamo contenti quando una persona che ospitiamo arriva e ci dice che noi dobbiamo cambiare. Perché siamo noi che dobbiamo adattarci a chi arriva e non viceversa. Curiosa idea. Rispettabile ma curiosa.
Così come il suo intervento per chiarire che lei non è una persona di colore. Brava. Abbiamo pensato che, finalmente, fosse arrivato un ministro che se ne fregava dei luoghi comuni del politicamente corretto. Macché. Solo una breve illusione. Perché subito dopo ha aggiunto che Lei non è di colore, ma nera. Ecco, vede caro ministro, ci rendiamo conto che la vicinanza con i politici italiani – quelli che considerano il congiuntivo come un nemico da abbattere e chiedono “te cosa fai domani?” – non agevoli la padronanza della lingua italiana. Ma il nero, al di là dell’onanismo intellettuale se deve essere considerato un colore o un non-colore, nell’accezione comune è un colore. E allora cosa vuol dire che Lei è nera ma non di colore? Nera è una camicia, un’auto. Ma Lei è una persona, non un oggetto. E, in italiano, lei è negra. E non c’è nessuna offesa, nessuna accezione negativa nel termine. Certo, è offensivo negli Stati Uniti d’America. Ma a noi che ci frega? Non siamo in America. Forse Lei è stata tratta in inganno dalla sua collega Bonino, convinta che la nostra capitale sia Washington e che, quindi, dobbiamo adeguarci alla lingua d’Oltreoceano e alle decisioni delle loro Corti. Ma non è così. Se Lei avesse avuto voglia di informarsi sulla nostra cultura, avrebbe scoperto che una delle più belle canzoni antirazziste, interpretata da Fausto Leali, si intitola “Angeli negri”. Non neri, ma negri. “Anche se la Vergine è bianca, disegna un angioletto negro”..
Perché vede, signora, gli italiani sono tutt’altro che razzisti. Troppo abituati ad essere invasi da spagnoli, francesi, austriaci e ad essere guidati da inglesi e americani per potersi permettere la xenofobia. Ma il razzismo cresce, adesso, per i comportamenti dei paladini del politicamente corretto. Cresce quando le case popolari vengono negate agli italiani poveri, figli e nipoti di chi ha pagato le tasse permettendo la costruzione di quelle stesse case, per assegnarle a stranieri appena arrivati e che nulla han fatto per questo Paese. Cresce quando si tagliano i fondi per il trasporto pubblico a Torino e si regalano 5 milioni agli zingari (che non hanno fatto assolutamente nulla per averne diritto). Cresce quando nelle scuole i bambini italiani devono rinunciare alla festa di Natale per non infastidire i bambini di altre religioni o quando devono rinunciare al prosciutto in mensa perché altri non vogliono mangiarlo. Ecco, caro ministro, prima di lanciarsi in iniziative che andranno in senso contrario ad ogni integrazione ed interazione, provi a pensare a tutto questo. E se proprio non Le piace come siamo fatti, può sempre scegliersi popoli migliori del nostro.”

Maximo Mancin Mantovani



Per chi non lo sapesse lo “ius soli” fa riferimento alla nascita sul “suolo”, sul territorio dello Stato. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori.
Ricordiamo anche che l’associazione di cui fa parte la 48enne di origini congolesi Sig.ra Kyenge chiede anche:

L ‘abrogazione della Bossi-Fini e, in particolare, del nesso tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno;

Rivendica l’applicazione e l’estensione dell’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione come tutela per tutti i lavoratori che denunceranno di essere stati costretti all’irregolarita’ del lavoro;

L’abrogazione del reato di clandestinita’ e del pacchetto sicurezza;

L’abolizione del permesso di soggiorno a punti;

La chiusura dei CIE;
Una legge organica e adeguata per la tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

L’auspicio è che qualcuno in questo governo o nel Parlamento faccia capire a Cecile Kyenge che nessuno vuole risvegliarsi una mattina sentendosi straniero in casa propria.

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